Io non gliel’avevo mai fatta sentire, a casa mia il cielo era sparito da un po’.
In effetti, di musica per casa mia ne girava poca, di colori ancora meno e pure la nuova Tv ci arrivò tardi. Forse potevamo permettercela anche qualche anno prima, quando avremmo risposto a quello spaccone di don Giovanni, il dirimpettaio, che se la piazzava fuori al balcone; ma noi, io e mio padre, non eravamo invidiosi. Noi eravamo rispettosi: non compri una Tv a colori quando hai a casa chi i colori non può vederli.
E allora mia madre insisteva e voleva sentire Il cielo in una stanza, ma io non avevo tempo, chissà se mio padre… e pure gli arcobaleni, intanto, da anni, continuavano a negarsi sulla nostra casa.
Poi arrivarono i Mondiali, quelli dell’82, e mio padre che non mi aveva avuto accanto in quelli del ’78, quando fui malamente rapito dagli amici, aveva deciso che questi di Spagna dovevamo vederli insieme. Il pallone unisce, avrà pensato, e a cambiali, a nostra insaputa, aveva comprato la Tv, quella a colori.
Anche contro il Brasile, però, noi tre a casa, ce ne stavamo ognuno per conto proprio. Io a leggere Niente e così sia della Fallaci in cucina dove mia madre, seduta, accarezzava i suoi silenzi e mio padre al buio nell’ultima stanza, di fronte al nuovo Sinudyne tenuto a basso volume.
Ma – Rossi gol, l’Italia è in vantaggio! – lo sentii e abbandonando il libro e per un attimo mia madre, mi affacciai alla vita della Tv. Decisi di sedermi accanto a mio padre, quando dovetti assistere al gol del pareggio brasiliano.
Fu al chiasso del – Rossi, Rossi e ancora l’Italia è in vantaggio! – che ci ritrovammo tutti e tre nella stanza. Mia madre, infatti, aveva deciso di raggiungerci e ricordando la mappa della casa, riuscì a sedersi su una delle quattro sedie intorno al tavolo tondo della stanza.
Della Tv a colori, io e mio padre, facemmo finta di nulla.
Ce ne stavamo in silenzio, quando mia madre, chiese: “Chi è Paolo Rossi?”.
“Mamma, il numero 20 con la maglia azzurr…
Risposta tarpata dal gomito di mio padre direttamente nei miei fianchi.
“Deve essere bravo” la riflessione a voce alta di mia madre.
“Certo, mamma, se gioca in Nazionale!”
“No, io dico che è bravo come ragazzo.”
“E tu che ne sai?”
La domanda cadde nel vuoto perché intanto Falcao aveva di nuovo pareggiato per i brasiliani e fu ancora il silenzio ad essere protagonista a casa mia.
Mia madre, però: ”Se farà un altro gol, sarà un eroe”.
“Ma chi, mamma?”
“Come si chiama… Paolo…” …
“Paolo Rossi?”
“Sì.”
Mio padre ed io, restammo increduli da quei suoi discorsi.
“Potete alzare il volume, se volete, a me non dà fastidio” disse a un certo punta mia madre.
Così, le stranezze di mia madre, quel pomeriggio, non finivano di materializzarsi.
Non era un’affermazione scontata quella appena pronunciata. Io e mio padre avevamo imparato che quando si spengono le luci negli occhi e comprendi che lo stanno facendo per sempre, tutti i rumori, da quelli impercettibili al traffico delle auto sotto casa, si manifestano nella testa in maniera esplosiva. Per questo a casa mia, da qualche anno, regnava il silenzio, e la tristezza.
Che si potesse alzare finalmente il volume, mio padre non se lo fece dire due volte, magari solo dopo avrebbe riflettuto sul perché, e bene fece perché riuscimmo a sentire l’urlo di Nando Martellini: Gol! Di nuovo Rossi su calcio d’angolo!
Ci ritrovammo, come per magia, abbracciati tutti e tre nella stanza e in mezzo a quell’abbraccio, secondo mia madre, era caduta tutta la bontà di Paolo…
Ma chi, mamma, Paolo Rossi?
Sì.
Dopo la vittoria in finale la nostra famiglia si ritrovò unita e scendendo anche noi per strada, ci rendemmo conto dell’abbraccio che un intero Paese si stava regalando.
Al ritorno a casa gliela concessi, era doveroso; e dal piatto che prese a girare, una voce cantava: Quando sei qui con me…
Certe magie il pallone non le spiega, accadono.
In quella stanza, fino a martedì scorso eravamo rimasti io e te, Paolo; i vecchietti, lo sai, se ne escono prima di noi: mia madre, mio padre e pure Nando.
Mi piaceva, seduto sul divano, ritrovarmi con te ogni tanto a pensare a quelle giornate, il tuo numero venti a ricordarmi quei miei giovani anni e la tua faccia di ragazzo buono.
Non mi resta che abbassare il volume e lasciarti la carezza che mia madre avrebbe voluto farti per averla, quel giorno, fatta ballare con me. Eccola.
SERGIO MARI