

“Più in là che Abruzzi” o “gli è più lontano che Abruzzi” faceva dire il Boccaccio nel Decamerone a uno dei suoi personaggi per riferirsi all’attuale regione d’Italia e dare un senso di appartato, favoloso, distante. Ora che con le infrastrutture moderne bastano due o tre ore abbondanti per arrivarci dai più grandi capoluoghi del Tirreno, e ancor meno da quelli dell’Adriatico, il significato di lontananza è rimasto prettamente romantico: una suggestione poetica. Il favoloso risiede nella sua natura maestosa e sublime, condensata nella cima massima regionale e di tutta la catena Appenninica: quel Gran Sasso che ha dato il nome alla Riviera del Gigante, brand turistico di sette città costiere del teramano benedette dalla visuale del sacro monte abruzzese.
IL GRAN SASSO D’ITALIA, SIGNORE DELLA RIVIERA DEL GIGANTE

2900 metri che impallidiscono al confronto con le vette alpine, eppure con le Alpi condivide la medesima composizione mineralogica; una forma quasi da mitra episcopale e un profilo superbo degno di Napoleone Bonaparte, come ebbe a ricordare Fedele Romani, saggista e giornalista del secondo ‘800.
Questo sovrano indiscusso non ha ai suoi piedi altezze maggiori di 800-900 metri nell’entroterra e perciò è ben visibile dal mare, elevato verso il cielo con le sue pareti ferrigne e le punte imbiancate.
L’eternità montuosa che si traduce in una grandezza innata, degna di un territorio ricco di attrattori turistici e di potenziale forse ancora inespresso.
I SETTE DIAMANTI TERAMANI DELLA RIVIERA DEL GIGANTE
Se già nel secondo Dopoguerra i sette diamanti teramani di Silvi, Tortoreto, Roseto degli Abruzzi, Pineto, Martinsicuro, Alba Adriatica e Giulianova sono stati teatro di un turismo di massa, oggi è il momento di andare “in scena” con i costumi della tradizione aggiornati per stare e restare al passo coi tempi.
Senza snaturarsi, ma con la giusta attenzione alle tendenze ecosostenibili (tutti Comuni plastic free) e ai trend che puntano alla riscoperta delle radici storiche e della natura, e al benessere fisico.
LA PISTA CICLABILE DELLA RIVIERA DEL GIGANTE

Spazio perciò a pedalate in una pista ciclabile di oltre 50 km, a due sensi di marcia e con corsia pedonale; aree attrezzate in pineta per gli amanti del body building e del fitness all’aria aperta; sentieri per camminare, passeggiare o fare jogging al fresco sotto i pini “scagliosi e irti” e tra le tamerici “arse e salmastre” e le “ginestre fulgenti” di memoria dannunziana (La pioggia nel pineto).
Una ciclovia illuminata anche la sera, per sposare quel senso di libertà e simpatia che ispirano le due ruote da sempre: del resto “nessuna invasione è mai stata fatta in bici“, sottolineò Didier Trochet.
L’unica invasione da compiere è una bella vacanza immersi nel verde della Riserva del Borsacchio, che resiste grazie alle sue guide appassionate, ai suoi guardiani e a tutti i tentativi di esproprio e cementificazione (per non finire come la vicina Montesilvano nel pescarese).
ARTE E CULTURA NELLA RIVIERA DEL GIGANTE

Nell’arte dei borghi alti della Riviera del Gigante, nelle rocche medievali e rinascimentali fortificate dagli spagnoli di Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, re di Spagna e di Napoli (sua la torre di Martinsicuro, centro abitato chiamato così proprio in onore del nobile spagnolo Martin de Segura che si preoccupò di difendere le coste dai pirati e dagli ottomani nell’Età moderna).
LA CUCINA DELLA RIVIERA DEL GIGANTE
E nell’enogastronomia locale, ricca di spunti interessanti e di piatti tipici tutti da provare.
“Nessun essere umano indifferente al cibo è degno di fiducia”, sosteneva Manuel Vázquez Montalbán, e come si potrebbe restare indifferenti davanti a un buon calice di Montepulciano o a una manciata di arrosticini.
O non percepire la melodia delle chitarrine abruzzesi, non a caso la buona cucina è come la musica, priva di barriere fonetiche, linguistiche: universale.

LA PASTA
La pasta infatti mette d’accordo tutti gli italiani da Nord a Sud davanti a un primo piatto, l’unico per cui non si sia versato sangue, ma al massimo il sugo.
Il ragù alle tre carni della tradizione, preparato al Palazzo Ducale La Montagnola di Corropoli dallo chef Francesco Liguori, o una crema di carciofi (ortaggio principe di stagione) con pecorino e speck della Locanda Da Pia a Pescara sono entrambi un ottimo condimento per la pasta fresca all’uovo “suonata” da mani antiche sulle corde, le chitarrine.
I ravioli di chef Liguori, ripieni di genovese napoletana all’abruzzese (con limone grattugiato), sebbene differiscano dalla tradizionale salsa partenopea e siano una sfoglia più spessa di quella romagnola, non si discutono a tavola, esaltati dalla fonduta di pecorino e dalla spolverata di cannella finale.
La pasta mista è la base invece delle Virtù teramane del 1 maggio, con verdure, legumi e cotica di maiale, rivisitata in chiave gourmet da Zunica a Villa Corallo – in quel di Sant’Omero – da chef Gianni Dezio.

Sugli spaghetti invece Cantine San Flaviano versa il guazzetto a Giulianova, dopo aver incantato i commensali con un filetto di spigola in crosta di sale, baccalà mantecato con crema di peperoni, insalata di polpo e una vellutata di broccoli con vongole.
LA CUCINA DI MARE E QUELLA POVERA IN CHIAVE GOURMET
Alla Vecchia Marina, ristorante di Roseto, lo chef Gennaro D’Ignazio cala l’asso dei crudi di mare e degli scampi aromatizzati al rosmarino: pennellate di colori e sapori degni di un Mirò, innaffiate da un buon bianco come il Pecorino.
Imperdibili le pallotte cacio e ova di chef Dezio da Zunica e il suo dessert della pizza dogge: cucina povera e arte dolciaria abruzzesi che impreziosiscono menu di altissimo livello per il viaggiatore.
