
Il Sarno, fiume sacro e temuto, ha da sempre rappresentato per le popolazioni della Campania una presenza viva, simbolo di vita, fertilità e, al tempo stesso, di potere indomabile. Se oggi il Sarno è tristemente noto per i problemi ambientali che lo affliggono, un tempo la sua acqua limpida era fonte di culto, leggenda e rito, soprattutto nei momenti chiave dell’anno come il solstizio d’estate.
Il Sarno come fiume sacro nella storia
Già in epoca osca e sannita, e poi romana, le sorgenti del Sarno erano considerate luoghi di potere: in prossimità delle sue fonti si trovano resti di santuari dedicati a divinità fluviali e telluriche. Le sue acque erano ritenute terapeutiche, cariche di energie sottili, e durante i solstizi e gli equinozi si celebravano rituali legati alla fertilità della terra e alla purificazione del corpo e dell’anima.
A Striano e a Sarno si narrava che le prime luci dell’alba del solstizio d’estate facessero brillare l’acqua del fiume come fosse d’argento vivo. Le donne si recavano alle sponde con ceste intrecciate piene di fiori e di erbe per immergerle nell’acqua corrente: quell’acqua “caricata” di luce solare e forza fluviale sarebbe servita per benedire le case, i campi e i neonati.
Il bagno rituale e la purificazione
Un’usanza diffusa, soprattutto fino all’Ottocento, era quella del bagno solstiziale: giovani e anziani si immergevano nel fiume nelle prime ore del giorno più lungo dell’anno, tra canti e formule augurali. Si credeva che quell’acqua, in quel momento, avesse virtù straordinarie: proteggeva dalle malattie, scacciava le negatività, rinsaldava i legami familiari e assicurava buoni raccolti.
Il Sarno, come altre acque sacre, era visto come confine tra il mondo umano e quello degli spiriti: immergersi nelle sue acque al solstizio significava compiere un gesto di rigenerazione e contatto con l’invisibile.
Acqua e rugiada: un rito femminile
Le donne avevano un ruolo speciale nei riti legati al Sarno durante il solstizio. Ancora a inizio Novecento, gruppi di contadine si riunivano per raccogliere la rugiada del fiume: tendevano lenzuola bianche sull’erba lungo le rive e all’alba le strizzavano in catini, raccogliendo quell’acqua benedetta che serviva a lavare i volti delle fanciulle, a benedire le partorienti e a conservare in bottiglie come amuleto.
I canti e le leggende
Tra i racconti popolari raccolti da etnografi locali, vi è quello della donna del Sarno, una creatura metà ninfa e metà spirito che appariva la notte del solstizio a chi si avvicinava al fiume con cuore puro: chi la vedeva, si diceva, sarebbe stato protetto per tutto l’anno. In alcuni casi, invece, l’apparizione era considerata un avvertimento: il fiume reclamava rispetto, e guai a chi ne avesse sporcato le acque.
Sorgenti e grotte: luoghi di culto nascosti
Il complesso delle sorgenti del Sarno — in particolare la sorgente di Foce — è stato per secoli oggetto di pellegrinaggi silenziosi al solstizio. Qui, tra rocce e acque sorgive, si compivano riti minori, talvolta segreti: abluzioni rituali, offerte di fiori, e deposizione di piccole pietre a forma di cuore o di sole, come ex voto per l’amore e la prosperità.
Il declino e la memoria
Con il passare dei secoli e l’avanzare della modernità, queste usanze si sono rarefatte. L’inquinamento e la cementificazione hanno trasformato il rapporto con il fiume, ma nella memoria delle comunità locali restano i racconti delle nonne e dei vecchi pastori, che ricordano quel momento magico in cui il Sarno, al solstizio d’estate, diventava un fiume di luce e mistero.