
La mia vita sembra appesa a un filo, sottile, quasi invisibile, ma di una seta coriacea, in una dimensione senza spazio nè tempo, come se dalla sentenza di un solo essere umano dipendesse la mia rinascita, il mio riscatto.
Mi chiedo, pertanto, come sia possibile ottenere il giusto metro di giudizio valido per un’intera vita si sacrifici, di sfruttamento lavorativo e di dignità calpestata.
Come fa una persona, sebbene con dati inconfutabili, ad emettere una sentenza che vale la vita o la morte di un’altra?
Mentre altra gente si prefigura atti sleali, offese personali e fantomatici errori gravissimi, peraltro mai avvenuti da parte mia, bloccandomi sui social come i bimbi dell’asilo, (ma può una persona con una certa professionalità e una carica importantissima arrivare a fare una cosa del genere?) io mi affido al corretto giudizio umano, ma anche divino, come ” L’ ultimo giorno di un condannato a morte” di Victor Hugo, libro meraviglioso letto in un solo giorno, quando ero ancora un’adolescente ed i sogni superavano le disillusioni.
Certamente Hugo scrive un documento contrario alla pena capitale portando come tesi l’angoscia, la paura e l’impotenza del condannato stesso, rendendo in tal modo il lettore partecipe della tortura dell’attesa.
Ma un essere umano può essere ucciso in vari modi: fisicamente ed in questo modo tutto ha una fine; psicologicamente ed umanamente, nel proprio intimo, nella coscienza e nella possibilità di poter sfamare i propri figli, riottenere la dignità violentata, la propria vita distrutta. In questo caso la condanna è ancora più pesante, perché continua, eterna, infinitamente più difficile da tollerare.
Inondato d’aria e di sole, mi fu impossibile pensare ad altro che alla libertà; la speranza si irradiava dentro di me come la luce attorno a me; e, fiducioso, attesi la sentenza come si attende la liberazione e la vita. Non tengo più a niente; l’ultima fibra del mio cuore si è spezzata.
Voglio, tuttavia, ancora conservare un barlume di speranza nella giustizia e nella verità, prima di gettare la spugna, di sconsiderare ineluttabilmente l’umanità e scivolare nel baratro della disperazione più nera. Oltre al danno, la beffa: insomma, sarebbe un’ingiustizia troppo grande da digerire.
Annalisa Capaldo