
È un partito trasversale, quello dei sindaci, che ha tanti fronti aperti con il governo, dalla corsa a ostacoli per mettere a terra i fondi del Pnrr ai malumori per la riforma sull’autonomia differenziata che dà poteri extra alle Regioni e arranca in Parlamento. Proprio a quest’ultima, a sentire gli addetti ai lavori, risponde in parte la legge delega per le fasce tricolori italiane con una
devolution di poteri e prerogative che oggi spettano proprio agli enti regionali. Scorrendo gli undici articoli della legge quadro – starà al governo poi darle seguito con successivi decreti legislativi, entro un anno – prende forma l’assist di Palazzo Chigi ai Comuni. Si parte da Roma, con la promessa di tenere conto in un atto ad hoc «della posizione ordinamentale di Roma Capitale, prevedendo per essa specifiche forme di autonomia regolamentare per la gestione delle funzioni e delle risorse umane e finanziarie. Messa di nuovo nero su bianco nella legge delega che tuttavia dovrà prendere vita in un altro provvedimento. Fratelli d’Italia vorrebbe chiudere
la partita prima delle elezioni europee del prossimo anno. Ma la riforma in fasce è ambiziosa e punta a intervenire su più fronti. Preannuncia una «revisione organica delle disposizioni in materia di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità». Tradotto: nuove regole per la scelta dei sindaci, rimettendo in discussione, ad esempio, il tetto di due mandati contro cui si schiera buona parte degli amministratori italiani. Ma soprattutto, la legge delega punta a dare ai comuni italiani più autonomia e risorse di quante ne abbiano oggi. A costo di sottrarle alle Regioni, che dalla riforma del Titolo V in poi, negli ultimi vent’anni, hanno ampliato a dismisura il loro campo d’azione, rosicchiando ora competenze dello Stato, ora degli enti locali. Ebbene la riforma Meloni per i sindaci – ci hanno lavorato in questi mesi il Viminale e il ministero delle Riforme di Elisabetta Casellati – propone contrappesi. E chiede a Regioni e province autonome, in
ossequio «ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza», di delegare ai Comuni e alle province «specifiche funzioni amministrative» con «il relativo trasferimento delle risorse necessarie». Un travaso di fondi e competenze che potrebbe non entusiasmare i governatori. Sono sono tante le novità previste dalla delega per le città italiane. Per le piccole frazioni in provincia sarà più facile fondersi in un unico comune grazie alla promessa di una «maggiorazione dei contributi» da parte dello Stato. La riforma interviene anche sull’organico dei Comuni, uno dei tanti crucci emersi in fase di attuazione del Pnrr: specie nei piccoli centri, mancano funzionari, tecnici, personale in grado di occuparsi delle gare. Di qui l’annunciato «potenziamento dell’organico» dei segretari comunali: alla carica si accederà con un concorso ad hoc e saranno previste «misure premiali e di carriera». Mentre la figura del direttore generale del Comune
sarà soggetta a spoil system: la durata in carica sarà «equiparata» a quella del sindaco. Tra le maglie della delega c’è infine una stretta sul commissariamento dei comuni. Con la previsione di ricorrere a «poteri sostitutivi», anche in assenza di infiltrazioni mafiose, per frenare «condotte
illecite gravi e reiterate» tali da «compromettere il buon andamento amministrativo.