Il Mann, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, apre a nuovi dialoghi tra passato e presente. Valorizza il passato, figure mitiche come quelle di Omero lasciandole liberamente interagire con miti del presente come quello di Alessandro Baricco. Un modo per attualizzare temi antichi, per datare visioni contemporanee che ha il palese obiettivo di portare luce, illuminare ad occhio di bue, dettagli di uno dei musei più ricchi al mondo.
Baricco diventa il pretesto per una nuova mostra, per un nuovo focus. Fino al 10 gennaio 2022 , nella sala della Farnesina del MANN è si tiene l’esposizione “Omero, Iliade. Le opere del MANN nelle pagine di Alessandro Baricco“. Un percorso che parte da uno dei tre busti di Omero (volto presunto di un mitoletterario forse mai esistito), in particolare dalla Collezione Farnese, copia in marmo pentelicodel II sec. d.C. di un originale ellenistico. Accanto i due libri iliadici di Baricco, e poi il vero percorso tra opere che hanno trasformato i momenti dell’Iliade in un viaggio su pittura vascolare del periodo tra il VI al IV a.C. Vasi che appartengono alla collezione Magnagreca del Mann ma che non sono esposti da anni, e qualcuno per la prima volta proprio.
LA TESTA DI OMERO E PROCIDA
Nel contesto di una mostra- connessione si apre poi una parentesi: la relazione con Procida. Il MANN dialoga con una Procida Capitale della cultura italiana 2022 mandando verso l’Isola proprio la statua di Omero, che si assenta per qualche giorno dalla mostra, in un “viaggio simbolico”, via mare, per essere esposto nella Cappelletta di Terra Murata a Procida in occasione della rassegna MARetica, il festival di cultura e sport, il cui presidente di giuria è Alessandro Baricco.
UNA MOSTRA IN CINQUE PUNTI
Curata da Marialucia Giacco la mostra si divide in cinque parti: 1. Omero, Iliade: un’epopea umana; 2. Il racconto della guerra; 3. Le donne di Omero; 4. La morte di Patroclo e il ritorno di Achille in battaglia; 5. L’ultima notte di Troia. Il dialogo tra le parole di Baricco e i vasi antichi diventa un modo per dare nuova vita a opere antiche, a vasi che escono dopo anni dai depositi e in qualche caso per la prima volta vengono esposti.
Uno dei pezzi più significativi, in questo senso è rappresentato dal cratere a calice attico a figure rosse che apre la sezione “Omero, Iliade. Un’epopea umana“. In contrappunto con l’idea di Baricco di rileggere la storia senza la presenza degli dei terreni il cratere presenta un consesso delle divinità che governavano nel mondo antico la quotidianità degli uomini. Un vaso che è ancor più significativo perché non solo perché lascia i depositi, ma anche perchè ha una storia legata a filo rosso con il Getty Museum. E’ stato, infatti, uno dei vasi sottratti con scavi clandestini, ritrovati, grazie al Nucleo Tutela dei Carabinieri, e restuiti nel 2007 dal Getty museum. Per la prima volta, da allora, viene esposto al pubblico. Si tratta della rappresentazione di un consesso di divinità con Oceano, Gea (terra) e Dioniso con pantera. Attribuito al Pittore di Syriscos e risale al 470-460 a.C.
Altro tema è quello della guerra e della battaglia, dei suoi modelli e della sua ritualità. Scandito o da scene di massa o duelli tra singoli eroi , preparati e anticipati da momenti solenni come un rito. Un rituale specifico deriva da nucleo principale poemi omerici della tradizione aedica fino all’VIII secolo. Nell’Iliade che non a caso viene definito il poema della guerra con le sue armi, si leggono precise descrizioni delle tecniche di combattimento tra troiani e achei, il ruolo dei capi, e duelli famosi come Patroclo ed Ettore, Achille ed Ettore, Menelao e Paride. Vasi produzione caldicese, attica a figure nere e rosse raccontano i vari momenti della battaglia con tre reperti: la coppa da vino propone scene di combattimento tra opliti (ceramica cosiddetta calcidese, collezione Santangelo- 540 a.C.); il cratere a volute con scene di combattimento tra opliti con carri (ceramica attica a figure nere da Sant’Agata dei Goti – 520 a.C.); la coppa da vino racconta la storia di guerrieri che si preparano alla battaglia (ceramica attica a figure rosse da Vulci – 510-500 a.C., cerchia del Pittore di Epeleios).
Le donne in questa dimensione raccontata da Omero, è legata alla Virtù, con un ruolo funzionale al mondo maschile. Una delle qualità è certo la bellezza. La versione di Baricco selezionata per la mostra propone donne che affermano la propria condizione di vittime di violenza. In esposizione, quattro reperti: la loutrophoros con figure femminili in un tempietto (vaso cerimoniale per riti matrimoniali o funerario- ceramica apula a figure rosse da Polignano a Mare – IV sec. a.C.); il cratere a campana con la nascita di Elena (ceramica di produzione campana a figure rosse da Caivano, 350-340 a.C.); lo stamnos (recipiente per trasporto e conservazione di liquidi) con rappresentazione di Menelao che insegue Elena (ceramica attica a figure rosse – 470-460 a.C.).
Umanità e passioni trionfano anche nella sezione dedicata alla morte di Patroclo e alla discesa di Achille in battaglia: qui è possibile ammirare, con un rimando ai testi selezionati e alla progressione narrativa del dramma, un’anfora a collo distinto con guerriero che si arma (ceramica attica a figure nere, da Cuma, fine VI sec. a.C.); due anfore a collo distinto con scene di combattimento tra guerrieri sul corpo di un caduto (ceramica attica a figure nere da Vulci, databili al VI sec. a.C.); il cratere a mascheroni con Achille che trascina il corpo di Patroclo (ceramica apula a figure rosse da Ruvo – 360-350 a.C.).
L’ultima sezione è legata all’ultima notte di Troia. Nella riscrittura di Alessandro Baricco queste vicende vengono narrate attraverso dal personaggio da lui introdotto di Demodoco, il vecchio cantore che, nell’VIII libro dell’Odissea, alla corte dei Feaci, canta alla presenza di Ulisse proprio della presa di Troia. In questa sezione della mostra sono presentati tre reperti: un’anfora a collo distinto a figure nere e un cratere a mascheroni a figure rosse con la raffigurazione di Aiace che aggredisce Cassandra presso il tempio di Atena (la prima opera proviene da Vulci e risale al 520-510 a.C.; la seconda da Ruvo ed è databile al 360-350 a.C.); chiude l’allestimento un vaso attico a figure nere con raffigurazione di Enea che fugge da Troia insieme al padre Anchise (da Nola – 520-510 a.C.).
La mostra è inserita nell’ambito del progetto Obvia – Out of boundaries viral art disseminantion nel più ampio quadro di collaborazione culturale con Regione Campania, Comune di Procida e Procida Capitale della Cultura- 2022.