Scrivo qualcosa di lungo e noioso, ma mi sento di farlo.
Ho seguito con interesse il dibattito consiliare sulla Ricostruzione, a volte anche superficiale, e, da testimone degli ultimi anni, mi sento di esprimere una opinione.
Ho sempre detto che la Ricostruzione non è mai stato un tema che, in altre istituzioni, dove sono radicate le competenze, non è più sotto i riflettori da un bel po’. Il problema ha sempre più perso di attualità, pur essendo invocato come esempio dai media solo ed esclusivamente quando vi è maltempo e si devono ricordare tragedie idrogeologiche, di cui l’Italia, paese bello e fragile, abbonda.
Dire che, dopo 22 anni, la Ricostruzione ha subito dei rallentamenti, mi sembra un fatto alquanto strano, riferito agli ultimi anni, nei quali, paradossalmente, ha subito una accelerata rispetto agli anni precedenti, ma ha scontato scelte superiori, a mio avviso, errate, senza le quali si poteva camminare più spedite, non recuperando il tempo perduto, ma almeno delineando un cronoprogramma verosimile.
Degli ultimi anni, almeno quattro sono andati al vento quando, improvvisamente e senza programmazione, si è deciso di passare dal Commissariato all’Agenzia fino al transito ai dipartimenti regionali ordinari e alla palude delle loro competenze.
Tre anni sono serviti solo per contabilizzare il trasferimento dei fondi dal bilancio dello Stato e, cioè, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, della quale il Commissariato e, poi, in via ereditaria, l’Arcadis avevano il mandato ad operare, al bilancio regionale, tra ricognizioni e regole contabili.
E’ pur vero che, in passato, la struttura commissariale non aveva brillato nell’affrontare il grandissimo problema, ma, una volta ben organizzata e responsabilizzata, poteva camminare spedita, come, nel 2015, stava facendo.
Quei tecnici, alcuni anche giovani, ma che avevano esperienza e memoria storica, sono stati destinati ad altro al punto che, oggi, uno di loro fa anche il dirigente di una Asl.
Come forma di confronto era più semplice anche parlare con una struttura ad hoc piuttosto che con i tentacoli regionali, che, intanto, hanno visto funzionari cambiare e altri che devono ancor prendere cognizione precisa della materia.
Non c’è stato un passaggio programmatico, ma piuttosto un rottura traumatica con effetti che ancora si pagano.
Intanto, dei fondi ci sono, ma potrebbero non essere sufficienti per pagare gli espropri post frana, rimasti a circa 2500. Almeno in questo, il nuovo Ufficio Espropri Regionali sembra proseguire deciso sempre perché ha una struttura che si fonda su tecnici che storicamente si sono occupati del problema e un ufficiale rogante (che fatica farlo nominare!), che sembra persona equilibrata e conscia della questione degli espropri.
Va, purtroppo, risolto il problema con le tasse di trasferimento perché manca una legge che tratti la questione come emergenziale e, ora, la fa rientrare nelle disposizioni dei negozi giuridici ordinari e della relativa tassazione. Il che significa che buona parte dei fondi disponibili vanno via per tasse. E qui ci vorrebbe un invano invocato intervento legislativo perché così come stiamo lo Stato da un lato da e dall’altro prende.
In questo, purtroppo, la macchina comunale poco può fare, ma sarebbe piuttosto necessario un lavoro politico di spessore. Fin qui, per altro, ha anche avuto tecnici con memoria storica che, ormai sono in pensione. E i nuovi devono prendere confidenza con le tematiche, anche ostiche, più in diritto che in senso di ufficio tecnico.
Quel poco che la macchina comunale poteva fare lo ha fatto assegnando in via definitiva gli appartamenti e predisponendo lo schema di rogito per trasferire gli ulteriori lotti del comparto Pedagnali-Casasale agli aventi diritto. Ha inciso sugli oneri di urbanizzazione, rinunciando perché, altrimenti, vi sarebbe stata la beffa che chi ha edificato dopo una tragedia, avrebbe dovuto pagare all’ente come se costruisse una nuova abitazione.
Mi permetto anche di dire che non è vero che gli espropriati di fatto, con procedure ancora da definire, vi pagano le tasse, perché gli uffici comunali, sensibilizzati, dopo tanti anni al problema, annullano in autotutela gli avvisi di accertamento su questi immobili di fatto inesistenti o non più nella disponibilità dei formali intestatari.
Sulle opere, i ritardi hanno inciso ancora in maniera più notevole. Qualche opera progettata, purtroppo, va adeguata alle norme sopravvenute, visto il lungo tempo trascorso e va finanziata con risorse ordinarie dello Stato, essendo esauriti gran parte dei fondi disponibili in via emergenziale.
Molte opere vanno ancora collaudate e, soprattutto, va deciso una volta e per sempre chi deve occuparsi della gestione e manutenzione ordinari dei canali e delle vasche, altrimenti si vivrà in un regime perpetuo di emergenza, anche in considerazione del fatto che il Comune, non solo non ha competenza e risorse per farlo, ma vive un senso di frustrazione avendo il problema sul proprio territorio e gli amministrati che premono per una risoluzione rispetto alla quale, se non pressione politica, non si ha agibilità materiale.
Lo stesso problema riguarda le fogne, rallentate dal passaggio all’ordinario che, almeno per questa fattispecie e considerata l’importanza del Risanamento del Sarno, spero che assuma un’attenzione centrale nell’azione amministrativa regionale.
Una cosa non credo sia buona. Considerata l’esiguità di personale all’ufficio tecnico, che ha già tanta difficoltà a smaltire l’ordinario e le progettazioni ed esecuzioni proprie dell’ente, non credo sia una buona idea che il Comune sia nominato per tutte le opere e le progettazioni post frana o per gli espropri come soggetto attuatore. C’è il rischio collasso e la cura sarebbe peggiore del male. Sarebbe più logico pretendere un maggiore impegno da parte della Regione sui tanti temi, con maggiori disponibilità di risorse umane o distacchi e di risorse. Altrimenti, l’orizzonte è lontano.
GAETANO FERRENTINO