dalla ricostruzione di MARCELLO RAVVEDUTO PER IL QUOTIDIANO DEL SUD
Scafati dorme ancora quando i fratelli Vittorio e Ubaldo Nappi, insieme a Francesco Vitiello e Alfonso Freddo, decidono di passare all’azione. I quattro, ai cui si aggiungono altri 19 scafatesi, sono muniti di armi ed esplosivi trafugati presso il deposito di Sant’Antonio Abate. L’intento è difendere il ponte sul fiume Sarno. I tedeschi infatti, per tagliare la strada agli alleati, hanno fatto saltare le vie di comunicazione per Napoli. Rimane in piedi solo il ponte di Scafati, già pronto a brillare. Nella notte tra il 27 e il 28 settembre il gruppo, guidato da Francesco Vitiello, apre il fuoco contro i tedeschi che si attestano nella piazza adiacente al ponte. Alle dodici e trenta si vedono arrivare le prime unità inglesi del 1° e 6° Battaglione Queen’s. Vittorio Nappi e Carmine Bonaduce suggeriscono al comandante inglese, il capitano Johnson, di tenere i tedeschi impegnati per consentire a una pattuglia di partigiani e soldati di guadare il fiume di nascosto attraverso una passerella di legno. Grazie a questa operazione la squadra sbuca in un vicolo dietro la piazza, colpendo i tedeschi alle spalle. Francesco Matrone, il primo a ricostruire la battaglia, ha raccontato che Vittorio Nappi capeggiava l’azione nella piazza, mentre Alfonso Berritto guidava gli automezzi inglesi verso il ponte. Una terza colonna, condotta da Giuseppe Catapano, si attestava davanti al palazzo comunale, controllando la riva sinistra del fiume. A questo punto i tedeschi, completamente accerchiati, si arrendono deponendo le armi. Conquistata la piazza parte l’assalto ai reparti ancora presenti in città. L’iniziativa è presa da Vittorio Nappi che, scorgendo una camionetta tedesca in via Cesare Battisti, comincia a sparare, seguito dal Bonaduce. Inizia la caccia al nemico nei quartieri settentrionali ed occidentali della città, coinvolgendo attivamente la popolazione civile. I tedeschi retrocedono ma si difendono di casa in casa sparando contro i cittadini in armi e i soldati. I fratelli Nappi, intanto, insieme a Francesco Vitiello, Ernesto Tammaro, Raffaele Cavallaro e Oreste Catalano intraprendono, per alcune ore, una lotta serrata per liberare l’arteria principale della città. Alla fine della giornata Scafati è libera. Si apre la strada verso Napoli. Tuttavia, non volendo scadere nella retorica, è giusto ricordare che il capo della ribellione antitedesca, Vittorio Nappi, era un “uomo di rispetto” alla vecchia maniera, il prototipo del guappo che ha ispirato a Eduardo la figura del Sindaco di Rione Sanità. Persino Raffaele Cutolo, in alcune lettere spedite dal carcere, lo ricorda come un maestro di malavita. Le foto del periodo lo ritraggono in posa da malandrino, col bastone da passeggio e lo scarpino bicolore. Un personaggio singolare dalle mille avventure, anche giudiziarie. Nonostante il suo essere criminale, nel corso degli anni Scafati gli ha sempre tributato il merito della liberazione. Ma perché Nappi decide di prendere le armi per difendere il ponte?
Quella è l’unica strada che può consentire agli alleati di risalire verso Napoli, ma è l’unica via di collegamento tra i paesi vesuviani e l’agro nocerino-sarnese dove si svolgono numerosi traffici clandestini, come ha raccontato Domenico Rea. Potremo persino pensare a un calcolo più cinico: ribellarsi ai tedeschi per conquistare la fiducia e la riconoscenza degli alleati sempre carichi di merci e disposti a fare accordi con gli intermediari del mercato nero. In realtà, di fronte all’assenza di fonti in grado di fornire prove storiche, devo ammettere che si tratta solo una suggestione. Una cosa è certa, Scafati si è liberata da sola. Una vera epopea, come ci racconta il documentario 28 settembre 1943.
La battaglia di Scafati di Gianfranco De Biase. Il filmato ricostruisce i fatti attraverso le fonti audiovisive tratte dagli archivi delle forze armate angloamericane mettendole a confronto con le immagini della città attuale. L’intervista ad Angelo Pesce, appassionato ricercatore di documenti originali sulle vicende dello sbarco angloamericano, è il fulcro intorno al quale si ricostruisce la storia della battaglia. L’intervistato con grande onestà intellettuale, rispondendo all’ultima domanda, motiva l’azione partigiana non come l’espressione di un sentimento antifascista, piuttosto come la volontà collettiva di «salvare il paese». I combattenti avevano la certezza che con la distruzione dell’ultimo ponte sul Sarno gli eserciti avversari si sarebbero colpiti con le artiglierie dalle rive opposte, con il possibile intervento delle forze aeree che avrebbero distrutto paese: «Noi, indipendentemente da qualsiasi considerazione [Nappi?], dobbiamo essere grati a questi concittadini che riuscirono a fare in modo che la battaglia di Scafati si concludesse rapidamente». Al di là di ogni fugace sospetto retroattivo, onore ai partigiani di Scafati: Vittorio Nappi, Ubaldo Nappi, Giuseppe Catapano, Francesco Vitiello, Alfonso Freddo, Alfonso Berritto, Carmine Bonaduce, Domenico Catalano (caduto), Antonio Vittorino (caduto), Raffaele Raiola (ferito), Graziantonio Fiore (ferito), Italo Nappi, Gennaro De Martino, Ernesto Tammaro, Pierino Nappi, Oreste Catalano, Emanuele Romano, Pasquale Sansone, Paolo Panariello, Tommaso Lustro, Pasquale Bruno, Alfonso Del Sorbo, Aldo Di Rosalia.