Il 12 dicembre Napoli si arricchisce di due mostre con un forte trait-d’union: la profondità del mare, della terra, delle tradizioni e delle devozioni. Tutte e due, poi, nascono da un metodo di connessione e lavoro sinergico tra realtà diverse.
Gli abissi del mare nostrum che diventano scrigno di reperti sopravvissuti a naufragi o gettati o raffigurati nei secoli sono raccontati in Thalassa, meraviglie sommerse nel Mediterraneo (fino al 9 marzo al Museo Archeologico Nazionale).
La terribilità di una terra che con una frequenza imprevedibile vomita le sue dimensioni interiori, sommerge città, e che lascia solo ai santi, come San Gennaro, la possibilità di proteggere, è protagonista della mostra Vulcanica il fuoco che crea al museo del tesoro di San Gennaro (fino a marzo 2020). In questo caso la mostra è stata accompagnata, il 12 dicembre, giorno della sua apertura, dal convegno Vulcanica quale futuro? In cui, con la moderazione del direttore de Il Mattino Federico Monga, c’è stato un confronto tra esperti vulcanologi e della protezione civile.
THALASSA
Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli apre Thalassa, meraviglie sommerse dal Mediterraneo. Con le sue 400 opere provenienti dal Mediterraneo e allestite nel Salone della Meridiana, dimostra che il racconto delle profondità marine siano un mistero senza limiti. Rivela “com’è profondo il mare”. Nata dalla passione per l’archeologia subacquea di un giovane archeologo Salvatore Agizza che, per caso, incontra l’intraprendenza di un direttore come Paolo Giulierini, diventa l’occasione di dare visibilità a tutto il mondo di reperti e di scoperte del mare. In nome delle connessioni e collaborazioni tra istituzioni e realtà. A curare la mostra, infatti, si sono poi aggiunti anche Luigi Fozzati, Valeria Li Vigni e soprattutto lo scomparso Sebastiano Tusa a cui la mostra deve molto.
La mostra Thalassa, divisa in nove sezioni, inserita in un allestimento curato anche nella sua dimensione simbolica, incuriosisce con ogni oggetto, vivido di storia marina. Dal controrostro di una nave a forma di cinghiale (proveniente da una nave romana trovata nel porto di Genova alla fine del Cinquecento) alle statue corrose dal mare tratte dai fondali della grotta Azzurra, dai reperti greci del relitto di Antikytera, con i suoi ori, con il suo calcolatore astronomico recuperato e proposto qui in 3d a cui fa da eco un pezzetto, che per la prima volta lascia Olbia, che si suppone sia proprio del Planetario di Archimede. Quattrocento oggetti sono tanti ma la sensazione, aiutata dall’allestimento, con le sue luci-costellazioni, con le sue sezioni che rimandano al mondo antico e alle sue riscoperte, spesso casuali, è quella di trovarsi davanti a un grande e misterioso contenitore di gioie da cui si viene attratti, come dei bambini, da una curiosità senza fine.
La mostra è l’esempio concreto di come da una idea si possano creare connessioni nel mondo scientifico e realtà museali e private. Oltre i protagonismi insieme per un progetto nuovo.
VULCANICA
Questa stessa filosofia ispira anche “Vulcanica”. Il Fuoco che Crea”, la mostra nel Tesoro di San Gennaro, che racconta una terra geograficamente ma soprattutto emotivamente. Il Vesuvio è espressione culturale del territorio che dal vulcano è sempre ispirato, delle sue paure e delle sue speranze basate su una profonda consapevolezza dell’impermanenza. Ed è così che protagonisti di questa esposizione sono gli sguardi espressi da turisti del ‘gran tour’, oggetti cultuali o apotropaici. O anche gli argenti e gioielli del Tesoro di San Gennaro, frutto di devozione al santo che protegge questa terra, disposti in un dialogo diretto con oggetti preziosi provenienti dal Museo Archeologico di Napoli (ancora protagonista della giornata), che rappresentano la terra vulcanica che ‘vomita cose’, con oggetti dell’Osservatorio Vesuviano e del Museo del Corallo.
Si abbattono i muri del tempo le opere del Tesoro di San Gennaro, che già raccontano sette secoli di arte orafa e argentaria, vengono messi a confronto con argenti, gioielli utilizzati nel 79 d.C.: ne emerge un’impressionante continuità della tradizione culturale artigiane di questa terra. La mostra dunque espone opere che esprimono e testimoniano tutta la creatività e la maestria della grande Fucina produttiva nate dal territorio vesuviano.