L’intervento del filosofo Giorgio Agamben Il 7 ottobre 2021 in Senato sul green pass è un’analisi attenta che merita di essere condivisa, soprattutto in una giornata come quella odierna nella quale le piazze si sono accese.
Nell’ultimo periodo, le piazze si sono ripopolate di persone che sentono il peso di scelte che minano significativamente i diritti sanciti dalla Costituzione e che intravedono nelle scelte governative un percorso estremamente pericoloso.
È facile ridimensionare la portata della voce popolare e pacifica, puntando il dito su frange minoritarie di facinorosi condannati dalle stesse piazze per le loro azioni violente.
Le piazze scalpitano e le forze politiche non si chiedono il motivo di questa mobilitazione popolare, la loro attenzione si concentra solo su ciò che allontana dalla riflessione vera che riguarda la messa in atto di politiche discriminatorie nei confronti di una parte della società che decide coscientemente di manifestare il proprio disappunto.
Le recenti elezioni hanno visto l’estendersi dell’astensionismo, il 50% della popolazione non ha voluto esprimere il proprio voto, testimoniando quanta scarsa fiducia riponga in tutte le forze politiche. La disamina dei voti, a voler essere onesti, non registra la reale vittoria di nessun partito, se non la plateale distruzione del “sogno” incarnato dal Movimento 5 Stelle, ma ciò pare non contare per i politici che nelle dichiarazioni successive al voto, hanno dimostrato poca sensibilità per la scarsa partecipazione elettorale.
Forse, è giunto il momento che i politici tutti s’interroghino sul loro operato che sta creando tensioni sociali importanti e non si allontanino ulteriormente dalle piazze, perché la politica non si fa dai palazzi o sui social, ma anche nelle piazze.
“È stato detto da scienziati o da medici che il green pass non ha nessun significato medico, ma serve ad obbligare la gente a vaccinarsi. Io credo invece che si possa e dire il contrario, e cioè che il vaccino sia un mezzo per costringere la gente ad avere un green pass, cioè un dispositivo che permette di controllare e tracciare, misura che non ha precedente, i movimenti. I politologi sanno da tempo che le nostre società sono passate dal modello che un tempo si chiamava società di disciplina al modello delle società di controllo, società fondate su un controllo digitale e virtualmente illimitato dei comportamenti individuali che divengono così quantificabili per algoritmo. Ci stiamo ormai abituando a questi dispositivi di controllo, ma vi chiedo fino a che punto siamo disposti ad accettare che questo controllo si spinga.
È possibile che i cittadini di una società che si pretende democratica si trovino in una situazione peggiore dei cittadini dell’Unione Sovietica sotto Stalin? Voi sapete forse, che i cittadini sovietici erano obbligati ad esibire un lasciapassare per ogni spostamento da un paese all’altro, ma noi siamo obbligati ad esibire un green pass anche per andare in un ristorante, anche per andare in un museo, per andare al cinema.
Ora, cosa ancora più grave di un decreto, anche ogni volta che si va a lavorare, e inoltre come è possibile accettare che per la prima volta nella storia dell’Italia dopo le leggi fasciste del 1938 sui non ariani si creino dei cittadini di seconda classe che subiscono restrizioni che dal punto di vista strettamente giuridico, (ovviamente i due fenomeni non hanno nulla a che fare, parlo solo di analogia giuridica) siano identiche a quelle che subivano i non ariani soprattutto alla possibilità di lavorare, ma i non ariani potevano circolare. Tutto fa pensare che i decreti legge si susseguono l’uno dopo l’altro emanassero da una sola persona, vadano inquadrati in un processo di trasformazione delle istituzioni e dei paradigmi di governo nelle società in cui ci troviamo; trasformazione che è tanto più insidiosa perché com’era avvenuto per il fascismo avvengono senza che ci sia un cambiamento del testo della Costituzione, avvengono surrettiziamente.
Il modello che viene così eroso e cancellato è quello delle democrazie parlamentari con i loro diritti, le loro garanzie costituzionali e al loro posto subentra un paradigma di governo in cui in nome di una maggiore sicurezza e del controllo le libertà individuali sono destinate a subire limitazioni di crescita.
La concentrazione esclusiva dell’attenzione sui contagi e sulla salute mi pare impedisca di percepire che questa grande trasformazione che si sta compiendo nella sfera politica, quale sia il significato di questa grande trasformazione, impedisce di rendersi conto del fatto che come gli stessi governi del resto non si stancano di ricordarci, la sicurezza e l’emergenza non sono fenomeni transitori, ma costituiscono la nuova forma di governabilità.
Credo che in questa prospettiva sia più che mai urgente che i parlamentari considerino con estrema attenzione la trasformazione politica in corso, che non si soffermino solo sulla salute, perché alla lunga del resto, la trasformazione politica è destinata a svuotare il parlamento dei suoi poteri, riducendolo, come sta ora avvenendo, ad approvare semplicemente in nome della sicurezza decreti che emanano da organizzazioni e persone che con il Parlamento hanno ben poco a che fare”.