Non temete, non ci rivolgiamo i componenti del nuovo Governo ma ad uno dei grandi paradossi, magari sotto forma di annuncio, che il mondo del lavoro giovanile subisce, dagli stage al precariato. Giovani senza mercato, mercato senza giovani. Un’inchiesta sul mercato del lavoro Under 30 in Italia sarebbe opportuna. Ma una volta individuata la malattia, ci vorrebbe una cura vera…
La situazione attuale ? I giovani in Italia lavorano poco e il lavoro che svolgono è un lavoro “povero” in termini di competenze e compensi. Non solo: il nostro paese ha la più elevata percentuale di cosiddetti “neet”, ragazze e ragazzi fra i 20 e i 34 anni di età che non lavorano, non studiano e non sono coinvolti in altri tipi di percorsi formativi e di avviamento al lavoro: sono il 29.4% di quella fascia d’età, appunto la percentuale più elevata dell’Unione Europea. Il problema, fra l’altro, è che quella cifra sta crescendo: nella sotto fascia più elevata (25-34 anni) l’incidenza è infatti passata dal 23.1% del 2008 al 30.7% del 2020, ultimo anno disponibile. Oltre 12 punti sopra la media Ue.
Un pezzo di quella storia parte proprio dai più giovani. Con la pandemia che, a complicare ancora di più la situazione, ha lasciato segni profondi: oltre due giovani su tre che erano “neet” nel 2019 sono rimasti nella stessa identica condizione un anno dopo, oltre tre su quattro al Sud Italia o tra i giovani meno istruiti o stranieri. La propensione, mediamente ridotta, all’innovazione delle imprese italiane – una costante anche prima del biennio 2020-2021 – si accompagna infatti a investimenti ridotti sul capitale umano specifico delle nuove generazioni. Un circolo vizioso e dannoso per il paese.
Non a caso l’Italia è trainata dai più vecchi, in un cortocircuito che ci sta condannando. “Tra le forze attive del paese prevalgono le coorti più vecchie, nate fino alla metà degli anni ‘70, entrate nel mercato del lavoro in condizioni di maggiore stabilità e migliori tutele, andate via via riducendosi a seguito di una pervicace flessibilizzazione del mercato del lavoro – si legge nel report -. Il progressivo invecchiamento della popolazione e la necessità di ridurne i crescenti costi associati, in termini di pensioni, salute e assistenza sociale, sono stati prevalentemente affrontati in chiave istituzionale attraverso l’innalzamento dell’età pensionabile, contribuendo all’aumento degli occupati tra le coorti più mature ma senza un’espansione generale, in un contesto economico stagnante, di buone opportunità occupazionali”.
Il lavoro in somministrazione, in un momento di crisi occupazionale che, negli ultimi anni, ha colpito soprattutto le fasce più giovani (ad agosto 2022, con un tasso di disoccupazione totale sceso al 7,8%, quella giovanile era al 21,2%), è un’opportunità proprio per chi, cercando di entrare per la prima volta nel mondo del lavoro al termine degli studi, si trova ad affrontare un sottobosco di offerte fatte di collaborazioni sporadiche, di precariato, di richieste di aprire la partita Iva, di contratti di brevissima durata.
Ma non basta, ovviamente. La questione è complessa, il nuovo governo è chiamata ad affrontarla in un momento complicato per tutti, non solo per i giovani italiani. Resta però l’impressione che nella nostra cara Italia e nel nostro carissimo Sud si continui a fare poco, anzi pochissimo, con responsabilità non solo politiche ma in parte anche imprenditoriali…