
Un caro amico ha assistito alla scena violenta e gravissima della rissa accaduta a Nocera Superiore due giorni fa e riporto le sue testuali parole: ” E’ capitato nella zona del Comune, vicino all’ ex bar ever garden; una lite furibonda tra ragazzine, almeno 4, di cui 2 sono dovute ricorrere alle cure mediche con il 118, il restante dei ragazzini si trovava in un parapiglia ad alta tensione. Una ragazzina aveva un taglio netto sotto al mento (necessitava di punti di sutura), l’altra aveva il volto tumefatto dalle botte ricevute. Gran parte di questi ragazzini provengono da famiglie patogene”.
Di seguito riporto un’analisi di sociologia della devianza minorile, semplice da comprendere, alla portata di tutti, anche per chi di sociologia e di politiche sociali ne sa poco o nulla. Magari potrà servire per progettare una prevenzione attenta riguardo a questo preoccupante fenomeno.
Il percorso adolescenziale è caratterizzato da frequenti momenti critici. L’adolescente
vive come un equilibrista sulla corda tesa fra devianza e normalità e un semplice
sbandamento può farlo cascare dalla parte sbagliata. Tende a risolvere il conflitto
affrontandolo non all’interno della propria mente, ma nella vita reale. L’esperienza
deviante, la tendenza a compiere gesti trasgressivi nei confronti dell’autorità e
dell’ambiente, rappresentano una delle modalità con cui l’adolescente si confronta
continuamente durante la crescita.
La violazione delle norme è un comportamento molto diffuso tra i 12 ed i 16 anni.
Tra le piccole trasgressioni adolescenziali quotidiane ricorre frequentemente la bugia.
Questa rappresenta il segreto e rinnova nel giovane il suo senso di onnipotenza.
Spesso l’adolescente compie furti domestici, si impadronisce di denaro e di oggetti di
scarso valore. Questo comportamento dimostra la sua incapacità di esprimere bisogni e richieste ai propri genitori, anche se permane il desiderio latente di una dipendenza totale che legittima l’appropriazione indebita.
Un atteggiamento tipico dell’adolescente è il vagabondare da un luogo all’altro, stare
in giro tutto il giorno, apparentemente senza meta, invece che stare a casa a studiare o
frequentare la palestra. Tale condotta esprime il suo desiderio d’avventura e l’esigenza di verificare la propria autonomia. Le azioni trasgressive maschili hanno di solito come destinatari l’autorità, la legge, lo Stato.
L’agito femminile usualmente si esprime invece attraverso l’esibizione di un’arrogante
seduttività, un attacco all’immagine materna e ai severi limiti da questa generalmente
imposti.
Il disagio e la confusione possono spingere l’adolescente verso l’uso di sostanze
stupefacenti che lo estraniano dalla realtà circostante e gli danno la sensazione di
sentirsi più sicuro. Di solito il ragazzo inizia ad assumere stupefacenti insieme ad
amici in discoteca o in altri luoghi di ritrovo.
Un dato preoccupante in questi anni è l’aumento di suicidi tra gli adolescenti. La
dinamica del suicidio giovanile è molto complessa. Bisogna tenere conto di molti
fattori sociali e psicologici. È un atto di rottura nei confronti di una realtà avvertita
come intollerabile.
Negli ultimi anni, all’interno della scuola media inferiore e superiore e nelle strutture
sanitarie, si sono diffuse alcune pratiche psico-socio-pedagogiche che hanno lo scopo
di informare i ragazzi sui pericoli dell’uso di droghe, di una sessualità non protetta,
sulla salute in generale e su altri temi importanti. Purtroppo si è ancora lontani dal
conseguire risultati soddisfacenti. La profilassi necessita di una stretta collaborazione tra famiglia, scuola e servizi del Sistema Sanitario Nazionale. Le istituzioni devono costituire una rete ferma e al tempo stesso flessibile, capace di favorire il processo di individuazione adolescenziale.
Nei giovani si assiste spesso al divulgare della tossicodipendenza e della violenza che
sono sinonimi di malessere e di disagio, e che possono essere sconfitti solo se si evita
la formazione del disagio.
Migliorare la condizione di disagio può essere fatto soltanto insegnando ai giovani a
vivere in modo responsabile, ad amare la vita, a trovare il gusto e l’interesse nel
conoscere e nel fare. Questi principi di educazione alla salute servono per la
prevenzione di comportamenti a rischio di devianza nei giovani.
Sovente nei giovani, specialmente nella realtà meridionale, dove vi è ancora un alto
tasso di inoccupati, la causa della devianza è la disoccupazione.
Il lavoro potrebbe, infatti, essere uno dei mezzi migliori per reprimere o prevenire i
problemi dell’età giovanile che troppo spesso è dimenticata o abbandonata a se
stessa. I giovani vivono spesso trascinati da ciò che li circonda e cadono perciò in
situazioni di “microcriminalità” che li potrebbe, poi, avviare ad una carriera sicura,
compromettendogli il futuro. Per migliorare la condizione giovanile bisognerebbe
riuscire a convogliarli nel mondo del lavoro che, sicuramente, avrebbe un effetto
positivo su di loro. Occorre insomma contrapporre il lavoro alla strategia della
violenza.
La spiegazione del fenomeno della devianza minorile non va cercato indagando sulle
cause generatrici di comportamenti asociali o antisociali. Appare, infatti, chiaramente
smentito dall’esperienza una sorta di determinismo causale, secondo cui a certe
condizioni individuali o sociali del soggetto, necessariamente debba corrispondere
una situazione di devianza.
Nella società odierna, dunque, caratterizzata dal cambiamento dei valori, da un fragile tessuto affettivo e solidale, il fenomeno della devianza sembra assumere una posizione peculiare all’interno della condizione adolescenziale, in cui il soggetto è
investito da molteplici aspettative sociali ed evolutive.
L’adolescenza, infatti, è caratterizzata dalla presenza di numerose ambivalenze quali
il desiderio di autonomia ed il bisogno di protezione, il conformismo e la ribellione, il
rifiuto del passato infantile e l’agire con comportamenti immaturi, la dicotomia fra
progettualità e passività. In questa direzione il disagio può manifestarsi con e attraverso la commissione di un reato, che diviene uno strumento di comunicazione, espressione di un malessere del percorso evolutivo, di crescita dell’adolescente e di carenze nell’ambito del suo microsistema sociale, del suo mondo vitale.
Così come rilevato in altri Paesi, anche in Italia la devianza minorile assume
connotazioni e caratteristiche diverse a seconda degli ambiti territoriali di riferimento e aree geografiche. Negli ultimi anni la localizzazione della devianza minorile si è strutturata nel seguente modo:
– nelle regioni del nord e del centro Italia sono concentrati i minori stranieri;
– nel sud vi sono minori italiani portatori soprattutto di condizioni socioeconomiche
di emarginazione;
– diffusi territorialmente e trasversalmente sono i minori con situazioni di malessere e
disagio sopra ricordati.
Essa coinvolge soprattutto i maschi che sembrano essere più vulnerabili rispetto alla
messa in atto di comportamenti violenti a causa di caratteristiche individuali, a loro
volta legate allo sviluppo neurologico, quali l’iperattività, i disturbi dell’attenzione, il
temperamento difficile (Moffitt, Caspi, Rutter e Silva, 2001). Al contrario, la devianza adolescenziale risponde ad esigenze tipiche di questo periodo dello sviluppo
e non può essere compresa ed arginata senza considerare i compiti evolutivi caratteristici di questi anni.
Secondo Debuyst, per il quale la figura materna pone le premesse fondamentali per la vita morale del bambino, l’assenza della madre sarebbe facilmente correlabile con
alcuni particolari tratti di personalità come: l’aggressività, il sentimento di abbandono
e l’insensibilità affettiva (Bandini e Gatti, 1987).
Da un punto di vista statistico e casistico si nota che tra i giovani delinquenti esiste
più frequentemente un rapporto affettivamente molto intenso con la madre, spesso invischiante, anche confusivo, e contemporaneamente si osserva un’assenza, una perifericità della figura paterna, od un sentimento da parte del ragazzo di essere
respinto, di non essere accettato dal padre. Per il fatto che, il padre ancora oggi
rappresenta il modello normativo per la coscienza etico-sociale, la rottura del
rapporto ragazzo-padre mette in crisi questo modello di identificazione e per molti
autori questo fattore sarebbe alla base di comportamenti devianti e della ripetitività
deviante (De Leo,1998).
La famiglia ha subito negli ultimi anni significative trasformazioni. Essa, infatti, da unità di produzione è divenuta, a seguito della modernizzazione dei modelli produttivi e dell’agricoltura, unità di consumo. Conseguentemente è venuta meno l’autorità patriarcale tradizionale e si sono innescati numerosi conflitti all’interno della famiglia.
La devianza minorile, si configura come un fenomeno articolato che si manifesta con
comportamenti diversi, sia nel loro grado di intensità, sia per le conseguenze che essi
arrecano i giovani che si avvicinano alla devianza restano accomunati, alla categoria del rischio.
Il passaggio da una situazione di disagio individuale, ad una di devianza non è
dunque così automatico.
I primi studi sulla devianza minorile vengono fatti negli anni Cinquanta, con i teorici
della sub-cultura ed il loro interesse verso le bande giovanili, tipiche di quel periodo,
e le subculture delinquenziali.
La carenza educativa della famiglia, chiama direttamente in causa il ruolo di un’altra agenzia formativa e di socializzazione, la scuola. Essa, per i ragazzi privi di una struttura familiare solida o funzionale, rappresenta una valida alternativa per introiettare modelli di riferimento che orientino il processo educativo e di socializzazione su una “retta via”; non sempre però la scuola si trova preparata a svolgere questo ulteriore compito. A volte, è proprio l’istituzione scolastica ad evidenziare le differenze di quei giovani, segnati sin dalla nascita, dalla propria condizione sociale, ed incapace di comprenderli, ne finisce col rinforzare le
dinamiche di esclusione e la loro condizione di marginalità. Quest’ultima può
derivare a sua volta, da situazioni di svantaggio socio-economico e di deprivazione
culturale. Entrambi questi fattori di rischio, di origine sociale e culturale, sono spesso
stati chiamati in causa dagli studi sulla devianza minorile.
La presenza di alcune forme di devianza nelle famiglie benestanti, è probabilmente
espressione di un altro tipo di povertà, quella relazionale; spesso si tratta di «ragazzi ai quali apparentemente non manca nulla, ma che hanno bisogno di stordirsi, di eccitarsi e che solo attraverso la violenza ci riescono.
È importante sottolineare la funzione di mediazione che svolgono sia i genitori, sia
gli insegnanti, al fine di attenuare le conseguenze del disagio esistenziale dei giovani, a tal punto che oggi, migliorare ed incentivare le competenze della famiglia e della scuola costituisce un’emergenza formativa e sociale.
Il gruppo dei pari, riveste un ruolo fondamentale, al punto da essere considerato, al pari della famiglia e dell’istituzione scolastica, un’agenzia formativa e di socializzazione, seppur di tipo informale.
I giovani finiscono con lo sperimentare sensazioni di rifiuto da parte del proprio gruppo di riferimento; in particolar modo, giovani aggressivi o violenti, che non riescono a farsi accettare dai propri pari, a causa del rifiuto di questi ultimi, tendono ad
aggregarsi selettivamente con altri compagni dai comportamenti devianti. La
delinquenza minorile è una delle modalità con cui il minore esprime un suo interno e
più o meno profondo disagio. La violazione delle norme è un comportamento molto
diffuso negli adolescenti, ma la maggioranza di loro sono trasgressori occasionali.
Nella ricerca di una spiegazione alla devianza minorile, l’ambiente familiare occupa un posto di notevole considerazione, vista la grande influenza che la famiglia esercita nello sviluppo del soggetto e nella sua formazione della personalità, e vista anche la sua funzione di filtro tra il soggetto e la società.
Una delle principali aree di indagine riguarda la carenza e/o assenza di cure
materne nella prima infanzia; questa tesi, sostenuta soprattutto dalla psicoanalisi,
sottolinea l’importanza della figura materna, della sua presenza stabile e del suo
affetto costante come base indispensabile per uno sviluppo positivo psicosociale.
Recentemente si è data attenzione anche alla privazione della figura paterna,
precedentemente trascurata. Gli stili educativi hanno una loro importanza e non sono da considerare elusivamente come fattori isolati in quanto unito all’elemento contesto familiare: lo stile educativo, se non ha applicazione costante e coerente, è una
modalità di comunicazione di un disagio della famiglia stessa.
Da tenere in considerazione sono i fattori socio-culturali: ragazzi appartenenti a
famiglie di subculture, socialmente svantaggiate, molto deprivate e che vivono in
quartieri altamente disorganizzati, sono esposti ad atteggiamenti devianti.
Altro aspetto molto importante nello sviluppo di atteggiamenti devianti,
soprattutto nella preadolescenza e adolescenza, è l’appartenenza ad un gruppo dei pari: in esso c’è l’oggetto di identificazione personale. In questo periodo della vita, il gruppo diventa punto di riferimento che spesso si sostituisce ai genitori; all’interno di esso vengono stabiliti norme e ruoli che il ragazzo sceglierà di fare suoi e in difesa di questi attuerà anche comportamenti non socialmente accettati.
L’Istituzione Scuola ha grande importanza, in quanto agenzia di socializzazione, e al
suo interno il soggetto deve ritrovare modelli e valori validi da poter seguire e schemi
di interpretazione della realtà.
Per “criminalità minorile”, invece, si intende l’insieme dei fatti che portano al
reato i giovani nella suddetta fascia di età e per comprendere il significato del
concetto di criminalità minorile, inoltre, esso è stato distinto in tre differenti
tipologie: vi è una criminalità minorile fisiologica, intesa come una condotta
deviante che, nella maggior parte dei casi, è destinata a riassorbirsi con l’ingresso
dei giovani nell’età adulta; una criminalità minorile patologica che si concretizza
nel momento in cui un minore viene coinvolto nella criminalità organizzata; una
criminalità minorile patologica relativa ai minorenni stranieri, residenti nel nostro
Paese, che sono indotti al crimine in età precoce molto spesso perché vissuti in
contesti di marginalità, conflitti culturali, disadattamento e deprivazione.
Non bisogna, comunque, confondere o unificare il concetto di devianza con
quello di criminalità, riservando al primo solamente quelle condotte contrarie
all’opinione pubblica.
Il disagio si manifesta attraverso una serie di segnali che possono essere colti dalle
figure di riferimento (genitori, insegnanti). Se non individuati per tempo e
correttamente interpretati, queste difficoltà possono accrescersi sino ad assumere le
caratteristiche di un vero e proprio disturbo e compromettere i processi di sviluppo,
l’integrazione ed il funzionamento sociale.
In una società senza certezze, per i giovani, tutto, anche la droga, diviene
un’esperienza da fare. Non è possibile trovare delle cause sociali della tossicodipendenza poiché questa è un’esperienza che (dato un mercato diffuso) tutti possono fare. La droga è un tentativo di raggiungere un’identità, di trovare un senso alla tragicità di un’esistenza mutevole, oscillante. All’interno del progetto di vita, quindi, la tossicodipendenza può diventare un tentativo come un altro di trovare un sé reale, una soluzione al vuoto interiore
Negli ultimi anni alla devianza di tipo tradizionale si sono aggiunte nuove tipologie:
quella dei ragazzi della mafia e dei ragazzi stranieri da un lato; il malessere del
benessere, il bullismo (nelle più recenti manifestazioni che fanno parlare di “nuovo
bullismo”) le condotte degli ultras e dei naziskin dall’altro.
Il disagio di vivere, da parte dei giovani, può trasformarsi in patologia sociale quando
si traduce in devianza, quando il comportamento si discosta dalla normalità.
La grande maggioranza delle volte i giovani delinquenti divengono tali per
imitazione: molti ragazzi che crescono in condizioni particolari, con una situazione
economica e famigliare precaria, località residenziale e luoghi frequentati vicini ai
punti di ritrovo dei malavitosi, sono influenzati dal modo di agire dei più grandi, in genere ragazzi di pochi anni superiori a loro. Anche l’ambiente famigliare ha una
grande rilevanza: chi viene maltrattato o assiste ad episodi di violenza fra i famigliari
è più esposto al rischio di diventare un criminale.
Una minoranza di ragazzi, poi, diviene soggetta al fenomeno per altri motivi: nel
corso dell’adolescenza, ad esempio, diventano molto importanti per l’individuo i
compagni ed il gruppo. Tuttavia per uscire con loro e divertirsi facendo esperienze
interessanti occorrono i soldi. Per i ragazzi, il denaro diventa ora fondamentale, tanto
da vedere buona parte di ciò che li circonda in sua funzione: nel ragazzo sorgono in
questo periodo dei bisogni materiali che ognuno è spinto ad avere dalla società
consumistica in cui viviamo, dal nostro stile di vita che prevede l’ostentazione delle
ricchezze. Diventa così difficile resistere alla tentazione di procurarsene in modi leciti
ed illeciti. Per porre rimedio al fenomeno della devianza dei giovani esistono due
possibili soluzioni: la prima è strettamente legata al momento dell’adolescenza in cui
il ragazzo tende ad aggregarsi ad un gruppo e viene detta della “giustizia interiorizzata”. È necessario che il ragazzo divenga “coraggioso”, in grado di opporsi
alle scelte del gruppo cui appartiene se ritenute sbagliate e di uscirne se necessario.
Ognuno, infatti, possiede il concetto della giustizia con la quale si ha diritto di essere
trattati dagli altri e soffre per le ingiustizie che riceve; ma quando il ragazzo capisce
che gli altri provano per se stessi ciò che lui prova per sé, comprenderà anche l’entità
del danno che lui arreca alla società. Il difficile compito di insegnare ai ragazzi questo modo di vedere le loro bravate spetta in ogni caso ai genitori. L’altra soluzione la più diffusamente richiesta dalla società, è quella della “tolleranza zero”: si chiede una
maggiore frequenza ed efficienza degli interventi delle Forze dell’Ordine. La
conseguenza diretta di un simile intervento dovrebbe probabilmente essere i
consolidamento di una giustizia dei castighi, fondata sulla paura delle punizioni che
dovrebbe quindi risolversi in un calo quantitativo delle azioni criminose.
E’ l’era dello sballo”, molti la intendono così: una nuova generazione il cui unico
divertimento è autodistruggersi. Il culmine di quello che è inteso come disagio si
raggiunge il sabato, il giorno più agognato e atteso per gli studenti: come tutte le
persone che hanno una occupazione infatti, il sabato è lo sfogo principale allo stress
settimanale che nei giovani però raggiunge livelli quasi sacri viste le molteplici
attività che si aprono ai loro occhi. La discoteca sembra però essere quella più
gettonata e, data la continua affluenza di persone, anche la più gradita.
Tale disagio è però visto in maniera diversa dalle varie generazioni, concordemente
con quando e come ognuna di esse ha vissuto la propria adolescenza: gli adulti infatti,
guardando nostalgicamente al proprio passato, notano e segnalano le differenze con il presente percependo come grave il modo di comportarsi dei più giovani; l’altra fascia
di età, quella direttamente coinvolta nel tormentone, sembra non essere interessata
agli sviluppi di un tale dibattito facendo appello, per quanto possibile, alla dovuta e
necessaria spensieratezza dell’età.
Un sentimento comune, però, trova concordi tutti: una generale insicurezza nel
futuro. Questa è probabilmente la causa maggiore di una così sottile superficialità dei
giovani. L’incapacità di poter progettare un futuro normale, porta inevitabilmente ad
una totale rassegnazione con il successivo annientamento di ogni ambizione. Se
quindi vi è una così grande sfiducia nel futuro, l’unica possibilità per i ragazzi e
immergersi quanto più possibile nel presente, cercando di viverlo oltre i limiti e di
protrarlo fino all’esasperazione nel vano tentativo di allontanare quell’incubo chiamato lavoro. E così gli effetti di tale disagio sono i più disparati: vanno dalla
semplice noia a fatti gravi quali vandalismo, bullismo, uso di alcol e droghe, fino ad
arrivare a casi quasi patologici come stupri e omicidi. I ragazzi dal canto loro
recriminano alla generazione dei genitori l’aver creato una società non a misura di
giovani, in cui si sentono inadeguati, e poco aperta a nuove idee: una società chiusa in
se stessa, incapace di apprendere da nuove persone ciò che può servire a migliorarla
ed essenzialmente ipocrita; una società in cui esistono solo valori morali idealizzati e
mai praticati da nessuno.
Oggi la situazione è molto diversa: non si parla più di devianza ma di devianze. Sono
state individuate sei categorie di devianza minorile:
– “tradizionale” che riguarda i giovani di periferia ”mafiosa” ossia ragazzi inseriti in
gruppi criminali di stampo mafioso (soprattutto giovani del sud)
– “straniera” cioè riguardante i ragazzi stranieri (arrivati in Italia negli anni 90)
soprattutto nomadi specializzati in furti di appartamento, nordafricani, albanesi e
dell’est specializzati nello spaccio di droga
– “malessere dal benessere” un modello di devianza che non nasce da contesti
disagiati bensì da un contesto benestante povero di valori e che ha smarrito il senso
dei legami familiari, dove regna il consumismo e la cultura dell’iper lavoro
– “bullismo nelle scuole” e “violenza negli stadi” che sono devianze intermedie tra le
prime e il malessere del benessere
Questa nuova devianza da un punto di vista numerico non è così clamorosa tuttavia
un solo episodio di questo tipo crea più allarme sociale rispetto a mille furti o scippi.
Quest’ultimi hanno una logica ossia quella del guadagno, gli altri delitti rimangono
invece misteriosi.
In questi ultimi anni accanto ai ragazzi delinquenti deprivati ed emarginati si sono
aggiunte nuove figure: adolescenti che vivono forme più o meno gravi di sofferenza e disagio psichico, giovani con problemi di dipendenza da sostanze psicoattive che
commettono reati proprio per l’acquisto delle sostanze, ragazzi con problemi sul
piano relazionale e comunicativo che commettono atti devianti di valenza espressiva (esempio tipico è il bullismo e altre forme di violenza interpersonale), ragazzi ben integrati educati però alla logica del tutto e subito e dell’individualismo esasperato che non riconoscono gli altri come portatori di diritti e se stessi come titolari di doveri.
Annalisa Capaldo