
I miei introiti adolescenziali provenivano dalla borsa. A differenza degli altri, la mia borsa non era quella di New York, Tokyo o Londra, ma era decisamente differente e parsimoniosa. I miei gruppi di studio al liceo si trovavano in posti distanti dal mio domicilio e spesso erano agli antipodi: frequentavo Starza dei Corvi, Parco di Luggo, via Siciliano e, negli ultimi due anni del ciclo scolastico, via
Nicola Bruni Grimaldi, sempre a Nocera Inferiore. Per raggiungere queste basi di scienza e sapere – che spesso modificavano la loro missione, trasformandosi in luoghi di svago e divertimento – avevo due opzioni: by foot o “Uber familiare”.
Al secondo anno di liceo, i miei genitori mi dotarono di un mezzo di trasporto autonomo, dato che l’Uber familiare era spesso off duty. Grazie a questo potente mezzo di locomozione da 50 cc, potevo raggiungere qualsiasi posto sul globo terraqueo. Scettici che siete, ho detto qualsiasi posto e lo ribadisco.
Naturalmente, per muovermi avevo bisogno di carburante. Ed è qui che entra in scena la mia borsa: i mieisponsor principali erano mia nonna e mia madre. Grazie alle donazioni spontanee di queste due grandi benefattrici, riuscivo a finanziare i miei spostamenti. In condizioni normali, alla pompa di benzina mettevo mille lire di miscela al 2%. Quando mi sentivo ricco, invece, mi concedevo il lusso di duemila lire. Con queste cifre irrisorie percorrevo chilometri e chilometri, riuscendo a raggiungere il mercato delle pulci di
Resina a Ercolano, la Costiera Amalfitana, Pisciotta/Palinuro e tante altre località. Ho perfino fatto un Nocera-Positano andata e ritorno senza soste per andare a vedere il concerto di Ray Charles, tutto d’un
fiato. Tempi e ossa belle di una volta.
Prima di ogni uscita con il ciclomotore, era fondamentale un checkup dell’equipaggiamento base: giacca antivento/antipioggia, borsa a tracolla militare comprata in uno dei tanti pellegrinaggi a Resina, walkman, cassette e cuffiette. Dopo l’ok della torre di controllo, via sulle strade della città, con il vento nei capelli e la musica nelle orecchie. Sì, perché in quegli anni il casco non era obbligatorio e non era ancora vietato indossare le cuffiette.
La mia playlist alternava gruppi prevalentemente anglosassoni ed ero sempre alla ricerca di nuove sonorità: un vizio che non ho perso nel tempo. Mi ero appassionato a un brano (in realtà due in uno) con
una intro meravigliosa, testo e musica fantastici. Il breve testo recitava: Take this song of freedom, put it on and arm yourself for the fight, our hearts must have the courage to keep on marching on and ono. Tradotto: Prendi questa canzone di libertà, indossala e armati per la lotta; i nostri cuori devono avere il coraggio di continuare a marciare avanti e ancora avanti. Mi gasava tantissimo. Accendevo il ciclomotore, indossavo quella canzone di libertà, mi armavo per la lotta e con coraggio affrontavo il mio futuro, urlando controvento “and well go marching oooon”. I brani in questione erano Declaration e Marching On dei The Alarm, due pezzi che hanno segnato la mia
adolescenza. Martedì 29 aprile 2025 apprendo dai media che Mike Peters, carismatico frontman dei The Alarm, è venuto a mancare a soli 66 anni. Un artista che ha saputo trasformare il palco in un’arena di lotta, passione e impegno civile. Dopo una lunga battaglia contro il cancro, Peters lascia un segno indelebile non solo nella
musica britannica, ma in un intero movimento culturale che ha unito musica e denuncia sociale per decenni. I The Alarm, nati nei primi anni ’80 in Galles, si sono distinti fin dall’inizio per l’energia pura e provocatoria del loro sound.
Le radici del gruppo affondano nella rivoluzione punk britannica degli anni ’70, che ha contribuito a forgiare la loro attitudine anticonformista e ribelle. Con il passare del tempo, la band ha saputo evolversi, integrando nel proprio stile elementi post-punk e new wave, dando vita a canzoni che univano la cruda immediatezza del punk a melodie più articolate e testi che toccavano temi sociali e politici di grande attualità.
I loro brani sono diventati inni per una generazione che attraversava un periodo di profonda trasformazione sociale. L’energia dei The Alarm ha saputo infondere un senso di appartenenza e di ribellione, facendo della musica un veicolo potente di espressione, critica e speranza.
La musica di Mike Peters e dei The Alarm non è mai stata solamente intrattenimento ma è stata una vera e propria forma di attivismo. Ogni esibizione era un’arena di discussione e condivisione, dove il pubblico veniva chiamato a riflettere sulle ingiustizie economiche, sull’alienazione e sui limiti imposti dai poteri istituzionali.
Mike Peters non si è limitato a dirigere la band: ha incarnato personalmente l’idea che l’arte debba essere al servizio di una causa più grande. Il suo impegno andava ben oltre le luci degli studi di registrazione o il clamore dei concerti. Ne è la prova il suo sostegno a numerose iniziative filantropiche, come la Love Hope
Strength Foundation, e l’uso della sua visibilità per dare voce a chi si trovava in difficoltà.
I tributi e le commemorazioni in suo ricordo ci ricordano che, nonostante la sua assenza fisica, il suo spirito e la sua visione rimarranno per sempre nel cuore di chi ha creduto nel potere trasformativo dell’arte. aro Mike, nonostante l’inesorabile scorrere del tempo, io la mattina faccio ancora il checkup e il mio spirito si arma ancora per la lotta. Come un tempo affronto le avversità della vita, urlando controvento “and well go marching oooon”: perché i nostri cuori devono avere il coraggio di continuare marciando avanti.