“Visita al cimitero” è la riflessione che il Vescovo invia alla Diocesi Nocera – Sarno in occasione della Commemorazione dei defunti. Monsignor Giuseppe Giudice interviene nuovamente sulla cremazione, propone di aprire congreghe e cappelle vuote per accogliere le ceneri e afferma: «I cimiteri sono il segno di una civiltà fondata sulla pietas». Di seguito il testo integrale del
messaggio del Vescovo.
«Nella visita al cimitero volevo lasciare un fiore ed una preghiera sulla tomba di alcuni
defunti; ma girando per gli avelli, alcuni li ho trovati, ed altri mi è stato detto che non sono lì
perché, dopo la cremazione, le ceneri sono state disperse, o conservate in luoghi privati.
Pur accettando come straordinaria la pratica della cremazione, secondo le intenzioni della Chiesa, mi sono reso conto che questa privatizzazione, anche dinanzi alla morte, frutto di individualismo, non va bene e non fa bene, e non sempre è rispettosa della legge. Mi è venuto in mente un verso di Ugo Foscolo nei Sepolcri, a seguito dell’Editto di Saint-Cloud del 1806 che, facendo le debite differenze, recita: Pur nuova legge impone oggi i sepolcri fuor de’ guardi pietosi. Oggi non è una legge, ma una nuova mentalità, una cultura che esalta la privatizzazione, l’io a favore del noi, certamente poco cristiana e per niente ecclesiale, e non so se umana, che non permette di recitare una preghiera in luogo pubblico dinanzi alla tomba di un defunto.
So bene che la gestione delle aree cimiteriali è, a volte, un problema per gli stessi
amministratori, per le grandi metropoli e città, ma esse rimangono per noi il segno di una
civiltà fondata sulla pietas.
Cancellando questi segni pubblici e fruibili da tutti, che sempre dobbiamo custodire, c’è il rischio di perdere anche la memoria, e il gesto pietoso di un lume, un fiore, una preghiera, una lacrima, oggi tutto on line; e l’intimismo esasperato non aiuta neppure la serena e cristiana rielaborazione del lutto, tema scottante ai nostri giorni. Così facendo sottraiamo sempre di più le tombe solo e abbandonate alla comunione tra vivi e defunti, corrispondenza d’amorosi sensi. Stiamo disperdendo tutto, o nascondendo anche le realtà più importanti, malati come siamo nelle relazioni interpersonali. Torniamo sereni ai nostri Cimiteri nel giorno della Commemorazione dei Defunti, e facciamolo spesso, per fare memoria grata, amare la vita e comprenderne il senso, meditando con saggezza su quell’epigrafe che troviamo in tanti camposanti: Eravamo come voi siete; sarete
come noi siamo; e non tritare tutto, uomini e cose, nell’oblio.
Pungolando sempre con simpatia le nostre amministrazioni comunali, ed educando i fedeli al vero culto dei defunti, si interroghino le nostre comunità cristiane, come già sta avvenendo
in diverse parti, come adibire spazi adatti e gratuiti in chiese non utilizzate, congreghe vuote, per conservare in modo degno e con il nome le ceneri dei nostri cari, evitando il rischio di confonderle tra barattoli di conserve e marmellate, e permettendo a chicchessia di potersi fermare per una prece. È una sana provocazione che si offre per il tempo giubilare, per non smarrire la speranza
dell’oltre, e per non rimanere confusi nella nebbia del presente.
Potrebbe essere questo segno un nuovo modo di esercitare l’antica opera di misericordia: seppellire i morti e pregare per i vivi e i defunti. Passando per la visita alle tombe dei nostri cari, e di tanti fratelli e sorelle anche sconosciuti, ripetiamo sottovoce e nella fede della Chiesa: Si, Cristo è risorto e noi risorgeremo! Questa è la nostra fede e la nostra speranza, che illumina i giorni della vita; perché
imparando a vivere impariamo anche a morire. E perché aver pudore di rendere ragione della speranza (cfr 1Pt 3,15) e omologarci a stili che non ci appartengono?».