
Non siamo d’accordo affatto con gli opposti estreministi. Non siamo d’accordo con chi ha criticato la commemorazione semplice, quella politica vera e propria che la destra salernitana celebra ogni anno. Non siamo d’accordo ovviamente con il saluto romano dei giovani dell’estrema. Non siamo d’accordo col parossismo di certa sinistra che procede a colpi di interrogazioni parlamentari.
L’omicidio di Carlo Falvella avvenne a Salerno il 7 luglio 1972; all’epoca studente di filosofia all’Università degli Studi di Salerno e vicepresidente del FUAN di Salerno, organizzazione universitaria del MSI. Carlo Falvella, aggredito e ucciso da un fendente all’aorta da parte di Giovanni Marini che camminava sul lungomare con Mastrogiovanni.Di padre liberal-tradizionalista e cattolico, Carlo Falvella si iscrisse alla facoltà di filosofia. Il giovane aveva gravi problemi alla vista che, secondo i medici, gli avrebbero comportato entro i trent’anni la completa cecità. Scherzando sulla propria malattia era solito dire ai genitori “Ho scelto Filosofia, perché potrei comunque continuare a insegnarla anche senza dover scrivere. Ma devo far presto a laurearmi. Devo assolutamente riuscirci prima di diventare cieco”. Nel 1971 aderì al FUAN, l’organizzazione universitaria del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale, in un periodo politicamente teso per via dei frequenti contrasti tra militanti di destra e di sinistra. La passione per la politica gli giungeva da sua madre, missina convinta.
Il 7 luglio 1972, sul lungomare Trieste di Salerno, verso le 19.30, insieme a Giovanni Alfinito (altro iscritto al FUAN) ebbero un primo diverbio con il trentatreenne Giovanni Marini e con il suo amico Gennaro Scariati, entrambi aderenti ai gruppi anarchici, con cui si erano casualmente incrociati. Scariati raccontò poi alla polizia di aver evitato il degenerare della situazione portando via l’amico. Circa due ore dopo, in via Velia, si ripeté il diverbio, ma ai due anarchici si era aggiunto Francesco Mastrogiovanni. Marini nel frattempo si era recato a casa e si era armato di un coltello. Giovanni Alfinito nella deposizione resa l’8 luglio 1972:
«Mentre percorrevamo via Velia, per rincasare, all’altezza di uno spiazzo che si trova sulla destra, io e Carlo abbiamo notato il gruppo avversario al quale si era aggiunto anche un terzo che conoscevamo già di vista, di tendenza anarchica o di estrema sinistra. Nell’incrociarci c’è stato uno scambio di sguardi piuttosto insistente, tanto che quando ci hanno superato ci siamo girati per guardarci vicendevolmente. Eravamo distanti dieci-quindici metri quando il terzo, il più alto dei tre, il capellone, il terzo dei feriti che mi dite chiamarsi Mastrogiovanni, si è portato verso di noi. È iniziata una discussione alquanto vivace, Mastrogiovanni ha iniziato con il dire: “Andate via!”. Improvvisamente mi ha dato uno spintone. Ho resistito, la discussione tra noi è continuata. A quel punto ho visto sopraggiungere il Marino (Marini, ndr) armato di coltello, che brandiva nella mano destra, e gridava una frase che non ho ben compreso, ma che voleva significare:”Mi sono scocciato!”. Mi ha vibrato una coltellata al basso ventre che io per caso sono riuscito ad evitare in parte….Ho visto Marino vibrare qualche coltellata all’indirizzo di Falvella, il quale riusciva a parare i colpi difendendosi. Durante questa colluttazione però è caduto, mentre Marino continuava a colpire. Il Falvella si è rialzato ed è riuscito a disarmarlo.»Dopo lo scontro i tre anarchici fuggirono rendendosi irreperibili, ma Marini la sera stessa si costituì ai carabinieri e rilasciò il 9 luglio 1972 nel corso dell’interrogatorio la seguente ammissione:«Mentre vedevo il Mastrogiovanni fermo vicino a una macchina, in stato di choc, in quanto lo so emotivo, e Gennaro (Scariati, ndr) fermo a poca distanza, nel difendermi dallo sconosciuto fascista che mi dava calci e pugni e il suo amico, l’Alfinito, che colpiva Mastrogiovanni…io ho estratto un coltello che avevo in tasca e rivolto ai due, impugnando l’arma, ma senza colpire, ho detto :”Andate via!” Poiché gli stessi continuavano nell’atteggiamento innanzi descritto mi sono diretto verso l’Alfinito, che poco distante colpiva il Mastrogiovanni: ho cominciato a colpirlo con il coltello. Subito dopo, mentre l’altro giovane fascista mi veniva incontro disarmato – dico meglio con un pezzo di ferro in mano – l’ho colpito non ricordo con quanti colpi. Il giovane è rimasto all’inpiedi mentre io, buttato il coltello a terra, sono scappato nei vicoli di Salerno.»(Testimonianza di Giovanni Marini.)
Giovanni Alfinito, pur ferito, riuscì a far fermare una vettura e a far portare l’amico in ospedale presso il pronto soccorso dove morì nel corso dell’operazione.
L’8 luglio la federazione salernitana del PCI guidata da Giuseppe Amarante espresse il proprio sdegno, non mancando tuttavia di sottolineare il proprio allarme nei confronti delle “violenze fasciste”. Relativamente all’omicidio scrisse:«La federazione comunista salernitana esprime il proprio profondo cordoglio per la giovane vita stroncata e lo sdegno e la condanna più netta per il ricorso alla violenza».Lotta Continua, in controtendenza alla dichiarazione della sinistra ufficiale, scrisse che “Le provocazioni fasciste ci sono, e crescono”.
Il processo a Giovanni Marini, poi accusato e condannato per l’omicidio di Falvella, all’epoca generò una mobilitazione della sinistra extraparlamentare. Arrivò Giuliano Spazzali, legale di Soccorso Rosso Militante, Dario Fo e Franca Rame si schierarono per una campagna tesa a dimostrare l’innocenza di Marini. Tutto ruotava sul fatto che Falvella fosse morto a seguito di una rissa, non per un agguato organizzato. Secondo la difesa si trattava d’uno scontro tra studenti del Fuan e anarchici, durante il quale spuntò il coltello che ferì Falvella all’arteria femorale lo fece morire dissanguato. Il processo durò a lungo, fu spostato per motivi di ordine pubblico da Salerno a Vallo della Lucania. Per difendere Marini arrivarono padri costituenti come Umberto Terracini, uno dei principali dirigenti del Pci. E nel collegio di difesa ricordo anche Marcello Torre. Erano gli anni Settanta. Sull’assetto politico di Salerno degli anni successivi pesò anche l’atteggiamento che maturò dopo l’omicidio Falvella. Un misto tra senso di colpa e senso legalitario, dove invece per la sinistra extraparlamentare si era trattato di un incidente.