Fabrizio Mangoni è stato originale, brioso e autentico fino alla fine. Sul suo profilo Facebook ha salutato gli amici, prima di andarsene, e i suoi cari e la moglie, Caterina Marmo, l’hanno pubblicato postumo: «Care amiche e amici, scrivo questa letterina in un momento in cui la salute mi fa nutrire un po’ di speranze. Sarebbe stato difficile altrimenti. Ho sempre amato raccontare e la fine è l’unica cosa che non possiamo tare. Quindi ho deciso di raccontarmi un dopo».
Architetto, ha insegnato Urbanistica alla Federico II ed era appassionato di gastronomia, di quella scienza e arte in cucina che l’aristocrazia napoletana coltiva in molti casi, e la cui storia è tutta scritta nei libri. Ed è anche per questo che Fabrizio Mangoni raggiunse la popolarità nazionale grazie a un libro molto particolare, che pose Napoli all’attenzione, finalmente in quegli anni, per una cosa ironica e di cultura, e non per la solita cronaca nera e il malcostume.
Era il lontano 1986, quando da Guida editori con la grafica di Sergio Prozzillo, raffinatamente attento a non farlo diventare un libro di “cucina” uscì il singolare “Dolcipersone” di Fabrizio Mangoni. Le fotografie di Mimmo Jodice erano opere d’arte – come sempre: fingendo di strappare l’immagine trasversalmente in parte a colori, in parte in bianco e nero, conduceva l’osservatore nella grana segreta del dolce e della “dolcepersona”, il suo corrispondente “umano”.
Ne nacquero poi due trasmissioni di Rai Due, “Di che pasta sei?” con Raffaella Carrà, e “Scrupoli” condotta da Enza Sampò.Poco prima di spegnersi, nella casa di San Mauro Cilento che tanto amava, si è raccontato nella sua versione più vera: «Posso dire – ha scritto – di avere attraversato la vita con allegria e leggerezza. Quanto ci siamo divertiti! Ma quanto veramente! Con ognuno di voi posso ricordare momenti di intensa gioia. Momenti di amicizia e di lavoro si sono sempre intrecciati. Certo non sono mancati i momenti dolorosi: chi se ne è andato prima, lasciandoci il loro vuoto, le sofferenze, le difficoltà. Ma posso dirvi che mi sono risparmiato i dolori inutili: quelli legati al mito del successo, della carriera, dei riconoscimenti pubblici. Se c’è un senso della mia vita è proprio questo, l’avere privilegiato i processi sui fini, utilizzare le occasioni del lavoro per stringere amicizie e conoscere pezzi del mondo».
Agli amici, nel suo messaggio d’addio, ha chiesto di tirare “un respiro e dedicatemi un bel sorriso. Poi siccome vi mancherò, ma anche voi mi mancherete certamente, vi chiedo ogni tanto di ricordare qualche episodio comune. Sarà il mio modo di stare ancora un po’ insieme. Un bacio a tutti. Fabrizio, vostro amico del cuore».