
«Credo che a questa “bestia” di malattia non riesco ancora ad arrendermi, il fatto però di essere nel pieno delle mie facoltà mi ha permesso di scrivere, tornare sul palco del teatro Verdi di Salerno e soprattutto di essere ancora una madre. Pure nella sofferenza c’è una speranza che ti fa risollevare dalla tua condizione, tanto da volare al di là del tuo stesso dolore».
Cava ha una cittadina speciale. Si chiama Apollonia D’Arienzo, per gli amici Lola o anche Lolita, insegnante di danza classica, ha frequentato la facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Salerno. Da circa un ventennio è affetta da S.L.A. (Sclerosi Laterale Amiotrofica), una malattia neurodegenerativa, che interessa i motoneuroni, le cellule nervose che controllano il movimento muscolare. Questa è una patologia che giorno dopo giorno fa perdere ogni autonomia: non si riesce più a parlare, a deglutire, a muoversi, a respirare. La scelta è quella di lasciarsi morire o decidere di continuare a vivere, accettando però di farlo grazie ad una macchina che permette di respirare, e di un tubo nello stomaco per nutrirsi. Lei sceglie, nel lontano 2002, di continuare a vivere, ed è così che a poco a poco trova la forza di ‘dettare’ con il movimento delle palpebre, e poi con l’aiuto di un computer, i testi di tre libri: Parole tra le ciglia (2009), Oltre la tenda (2011 “La Sla ti divora tutto, ma lascia del tutto intatta la capacità di pensare e sentire. E non capivo se era un bene o un male”). ) e In punta d’ali (2013). È il suo modo personale di vivere la malattia come un’opportunità e fare della sofferenza un’esperienza unica, che le permette di affrontare con coraggio la vita di ogni giorno. Soffermiamoci su In punta d’ali . E‘un romanzo che meno direttamente racconta il viaggio dentro la SLA che Lolita è costretta a fare da quindici anni e nel quale si sta orientando con straordinaria forza d’animo e capacità reattive e creative. Infatti, il libro è il romanzo di un’amicizia tra Erica, un’immigrante di origine romena, e Mara, la sua datrice di lavoro, che è appunto una maestra di ballo che nel corso della vicenda viene progressivamente immobilizzata dalla SLA.
La cornice narrativa è il viaggio di ritorno in bus di questa immigrante da Cava in Romania, nel corso del quale lei, ora con la memoria, ora affabulando con i suoi occasionali e partecipi compagni di viaggio, rievoca le sue peripezie spesso dolorose e il progressivo dramma familiare della maestra, che non solo è colta dalla malattia ma deve anche affrontare una difficilissima crisi con il marito e rischiare la perdita affettiva di suo figlio. In queste onde di tempesta, si è progressivamente rafforzata la loro amicizia: Mara e Erica si sono intese subito, con la complicità di due donne particolarmente sensibili, e poi, pur se non senza cadute e ricadute, si sono sostenute a vicenda col reciproco e profondo affetto, all’insegna del poetico e sempre valido principio che siamo angeli con un’ala sola e dobbiamo stare abbracciati per poter volare.